“Spesso” sottolinea subito il Dottor Luca Nassi, “i pazienti si rivolgono al medico di base o allo specialista per la presenza di linfonodi ingranditi.”
Talvolta, la malattia si presenta con sintomi sistemici come febbre, calo ponderale, o sudorazioni notturne particolarmente profuse.
In altri casi, il paziente arriva alla diagnosi poiché fa gli esami del sangue, che fanno risuonare campanelli d’allarme.
Il Dottor Luca Nassi ci racconta la biologia alla base di questa patologia: “Le cellule della malattia di Waldenström producono delle immunoglobuline, ovvero degli anticorpi, della classe delle IgM, che hanno la caratteristica di essere particolarmente grosse.” Poiché rallentano il flusso del sangue e ne aumentano la viscosità, limitano la possibilità del sangue di passare attraverso i piccoli vasi periferici, con conseguenti parestesie, formicolii a mani e piedi, scampanellii nelle orecchie, oppure trombosi venose.
Quando si comunica una diagnosi, è fondamentale tenere presente chi si ha davanti. Un paziente giovane, ad esempio, può temere di non riuscire a vivere a lungo, di non arrivare a invecchiare. Diverso è il discorso per un paziente anziano, che ha una lunga vita alle spalle.
La Dottoressa Elisa Scaburri ci ricorda, inoltre, che il paziente arriva spesso a una diagnosi di queste patologie dopo aver svolto esami di routine: “ C'è sempre un momento di shock iniziale.”
“È fondamentale.” Questo il commento del Dottor Luca Nassi.
Il paziente passa la maggior parte del tempo a casa, non in ambulatorio. E dunque essenziale che riceva un aiuto per interpretare e capire al meglio ciò che il clinico gli ha comunicato, e per vivere al massimo delle sue possibilità il periodo di trattamenti che deve affrontare in seguito alla diagnosi. “Supportare e accompagnare il paziente durante tutto il percorso di cura.” Questo è il ruolo dello psiconcologo, secondo la Dottoressa Elisa Scaburri.
Il caregiver si occupa del paziente quando è a casa. È fondamentale come supporto, non solo da un punto di vista concreto e fisico, ma anche emotivo e affettivo.
E dunque importante che il clinico si ritagli del tempo per comunicare in modo adeguato sia col paziente che con il caregiver.
Secondo la Dottoressa Elisa Scaburri, è però possibile gestire queste manifestazioni: “Lo stress fa parte della vita, ma viene acutizzato da alcune situazioni, come una patologia ematologica, soprattutto se questa è una patologia rara. Cosa fare per aiutare il paziente: fornirgli uno spazio nel quale possa sentirsi fragile, possa avere paura, possa sperimentare la paura, la tristezza, tutte le emozioni negative che gli girano dentro, in modo da aiutarlo a elaborarle.”
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