Parlando delle novità e dei progressi nella cura del mieloma multiplo nell’anno precedente, l’esperto riconosce i tanti passi avanti compiuti dalla ricerca e afferma che “…gli ultimi 18 mesi sono stati dominati chiaramente dagli anticorpi bispecifici”. Lo dimostra il fatto che l’agenzia statunitense per i farmaci (Food and Drug Administration; FDA) ha concesso l'approvazione accelerata per il trattamento del mieloma multiplo recidivato e/o refrattario (RRMM) a tre nuovi BsAb, che negli USA vengono ora combinati con farmaci che mirano ad altri meccanismi d'azione nelle prime linee di trattamento1.
Vediamo allora di conoscere meglio questa classe di farmaci, che promettono di rivoluzionare lo scenario terapeutico dell’oncologia, anche per quanto riguarda i tumori del sangue.
In un certo senso, gli anticorpi bispecifici possono essere considerati anticorpi monoclonali “next generation”, di una generazione successiva e più avanzata. Infatti, il tipico anticorpo monoclonale riconosce e si lega a un solo specifico bersaglio (chiamato antigene), mentre – come dice lo stesso nome – l’anticorpo bispecifico è in grado di riconoscere e legare contemporaneamente due diversi antigeni o due parti dello stesso antigene (chiamate epitopi) 2,3.
Questa caratteristica porta con sé diversi vantaggi: per esempio agli anticorpi bispecifici possono scatenare risposte fisiologiche o antitumorali differenti o possono agire come un “cocktail” di due diversi anticorpi monoclonali senza però costringere i pazienti alla somministrazione di due trattamenti e chi sviluppa il farmaco di creare due diverse molecole. Non dimentichiamo inoltre che somministrare contemporaneamente due diversi anticorpi porta spesso ad effetti collaterali troppo pesanti e non tollerate dal paziente. Infine, ma non certo meno importante, la doppia specificità può portare a una maggiore efficacia a livello terapeutico2.
In assoluto, gli anticorpi bispecifici non sono una novità in campo farmaceutico: il primo fu descritto nell’ormai lontano 1960, ma solo recentemente – grazie soprattutto allo sviluppo della tecnologia che ha reso possibile l’ingegnerizzazione delle molecole – questi farmaci hanno visto uno sviluppo rapido e costante. I meccanismi d’azione degli anticorpi bispecifici sono numerosi e dipendono dai “bersagli” molecolari e dalla stessa struttura dell’anticorpo3,4.
Oggi la ricerca corre veloce e sono centinaia gli anticorpi bispecifici disponibili o in fase di studio, soprattutto nel campo dell’immunoterapia dei tumori: una recente ricerca ha identificato più di 300 studi clinici su oltre 200 diverse molecole bispecifiche, di cui circa il 75% utilizzate per il trattamento di tumori solidi e il 25% per il trattamento di tumori del sangue4.
La capacità degli anticorpi bispecifici di legare due diversi bersagli è particolarmente interessante dal punto di vista medico dal momento che molte patologie hanno meccanismi complessi e coinvolgono diversi recettori o vie di segnalazione all’interno della cellula. Sono numerosi gli studi che si concentrano su come questi farmaci possono prendere di mira alcuni meccanismi tipici del cancro, come l'angiogenesi, le metastasi e la regolazione immunitaria, aprendo la strada a molte applicazioni cliniche e aiutando i pazienti con tumori resistenti a rispondere meglio ai farmaci3.
Senza entrare troppo nel dettaglio tecnico, vale la pena ricordare che la categoria di anticorpi bispecifici più utilizzata nei tumori del sangue (circa il 75% delle molecole) appartiene ai cosiddetti T cell engagers, ovvero molecole che fungono da “ponte” tra la cellula tumorale e le cellule T del sistema immunitario, che vengono reindirizzate di conseguenza proprio contro il tumore3-5. A livello globale, gli anticorpi bispecifici sono stati approvati per il trattamento di diversi tumori del sangue, spesso nelle linee più avanzate di terapia, ovvero in pazienti già sottoposti a precedenti terapie antitumorali. L’uso degli anticorpi bispecifici in oncoematologia interessa pazienti con mieloma multiplo, linfomi follicolari e linfomi a grandi cellule B, ma anche alcune forme di leucemia come la linfoblastica acuta a cellule B e la leucemia mieloide acuta5,6. È importante ricordare che le terapie in uno in un determinato paese potrebbero non essere stata ancora approvate in un altro; per questa ragione è sempre importante rivolgersi agli esperti dei centri specializzati per capire quali sono le possibilità di cura nel proprio paese.
Quel che è certo è che la comunità scientifica internazionale sta lavorando alacremente per cercare di identificare nuovi bersagli, nuove indicazioni, approcci combinati di diverse terapie ed efficacia nelle prime linee di trattamento. Questo fa pensare che l’uso degli anticorpi bispecifici troverà sempre più spazio nella terapia dei tumori del sangue e del cancro in generale6.
Nonostante il loro impatto dirompente nella cura di numerose patologie e le promesse future, gli anticorpi bispecifici possono e devono ancora essere migliorati sotto diversi punti di vista, a partire dalle tecnologie e costi di produzione, all’identificazione dei bersagli e delle combinazioni migliori, alle tempistiche e modalità di somministrazione più sicure ed efficaci3,6.
Senza dimenticare il possibile sviluppo di meccanismi di resistenza ed effetti collaterali dopo l’inizio del trattamento5.
Numerosi meccanismi possono essere responsabili dello sviluppo di resistenza agli anticorpi bispecifici, primo tra tutti la perdita dell’antigene bersaglio presente sulla cellula tumorale. Una volta iniziato il trattamento le cellule tumorali sono sottoposte a una forte pressione selettiva e può succedere che le cellule che per casualità hanno “persa” l’antigene bersaglio del farmaco abbiano la meglio e comincino a crescere nonostante il trattamento in corso. Inoltre, è stato osservato che alcune anomalie genetiche presenti in leucemia mieloide acuta e leucemia linfoblastica acuta sono associate a una minore risposta al trattamento e che anche il microambiente che circonda il tumore può avere un ruolo nel determinare la risposta alla terapia5.
Passando invece agli effetti collaterali, quelli più importanti e frequentemente segnalati sono la cosiddetta sindrome da rilascio di citochine, infezioni, tossicità di tipo ematologico e neurologico5. La sindrome da rilascio di citochine, in particolare, è caratterizzata da una risposta infiammatoria esagerata che porta alla produzione di molecole chiamate appunto citochine e che si traduce in sintomi che possono variare da febbre lieve e malessere a ipotensione e ipossia (ovvero pressione bassa e ossigenazione scarsa). Una recente metanalisi di oltre 50 studi ha mostrato che la sindrome si verifica nel 67% dei pazienti trattati con anticorpi bispecifici, ma solo nello 0,2% in forme gravi. Inoltre, la sindrome si presenta nelle fasi iniziali di trattamento, che richiede quindi una maggiore attenzione ai sintomi5.
Medici e ricercatori hanno studiato e continuano a perfezionare strategie per eliminare o tenere sotto controllo questi effetti collaterali, per garantire al paziente trattamento efficace ma anche sicuro5.
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