Oggi, portare sul mercato un nuovo farmaco richiede mediamente 10-15 anni e un investimento di 1,5-2 miliardi di dollari. Circa la metà del tempo e dei soldi impiegati servono per gli studi clinici (trial, in inglese) che, malauguratamente, hanno un tasso di insuccesso altissimo: solo il 10% circa delle molecole che entrano in sperimentazione clinica riceve poi l’approvazione da parte delle autorità regolatorie1. L’IA può essere sfruttata per migliorare il disegno e la conduzione degli studi clinici, aumentando le probabilità che abbiano un esito positivo.
Uno dei fattori che contribuisce all’insuccesso dei trial è la difficoltà nel reclutamento dei partecipanti. In genere, per uno studio clinico di fase I ne servono meno di cento, per uno studio clinico di fase II qualche centinaio e per uno studio clinico di fase III qualche migliaio1. Per potere partecipare allo studio i pazienti devono presentare precise caratteristiche (in gergo si dice che devono “soddisfare i criteri di eleggibilità”): per esempio, essere in una certa fascia di età, avere una forma della malattia più o meno severa, essere già stati trattati con qualche farmaco o viceversa non avere mai ricevuto nessun trattamento, e così via. Trovare il numero di pazienti necessario affinché l’analisi statistica dei risultati permetta di trarre delle conclusioni valide può richiedere molto tempo. Circa un terzo degli studi di fase III fallisce proprio per problemi di reclutamento1.
Questo “collo di bottiglia” nel flusso della sperimentazione clinica può essere eliminato con l’aiuto dell’IA, come dimostra uno studio dell’Università di Chicago in cui è stato sviluppato uno strumento – per la precisione una macchina a vettori di supporto (Support Vector Machine, SVM), un algoritmo supervisionato per classificare oggetti sconosciuti analizzando più parametri contemporaneamente3 – che abbina bambini e adolescenti con la leucemia agli studi clinici pertinenti2. I ricercatori hanno esaminato gli studi clinici di fase I, II e III sulla leucemia pediatrica contenuti nel database ClinicalTrials.gov – il registro online dei trial clinici gestito dalla National Library of Medicine, la più importante biblioteca medica mondiale –, hanno estratto le frasi dei protocolli che contenevano i criteri di inclusione e di esclusione e hanno addestrato l’IA a riconoscerle. L’algoritmo classificatore così generato è in grado, analizzando i dati demografici e medici di un paziente pediatrico affetto da leucemia, di identificare in 3-4 secondi gli studi clinici per cui quel paziente risulta eleggibile; per fare questo manualmente agli sperimentatori occorrono 8 ore2. È interessante notare che l’approccio usato mette al centro il paziente e non il trial: si cercano tutti gli studi disponibili per un paziente invece che i pazienti papabili per un singolo studio clinico; dal punto di vista del singolo paziente ciò è vantaggioso perché potenzialmente apre un ventaglio di possibilità tra cui scegliere2.
Parla di tempo anche un altro studio sull’intelligenza artificiale applicata alla ricerca sui tumori ematologici. Un gruppo di ricercatori ha infatti utilizzato il machine learning, una branca dell’IA, per predire la durata degli studi clinici di fase 1 nei pazienti con linfoma4. Anche questi scienziati hanno attinto dal database ClinicalTrials.gov, identificando più di 1.000 studi già completati. Hanno calcolato che mediamente durano 1.788 giorni (5 anni). Hanno poi estrapolato le caratteristiche che accomunano gli studi che hanno richiesto più tempo della media, osservando, per esempio che gli studi condotti dalle aziende farmaceutiche sono più veloci di quelli condotti da altri enti e che la durata aumenta se vengono sperimentati più interventi terapeutici nello stesso trial o se vengono testate terapie biologiche. Incorporando 30 di queste caratteristiche nel loro modello predittivo hanno sviluppato un algoritmo in grado di stabilire se un nuovo trial di fase 1 sul linfoma durerà più o meno di 5 anni. Perché è importante stabilire quanto può durare lo studio? Per il paziente che sceglie di parteciparvi è necessario affinché la sua sia una decisione informata, per gli sperimentatori e gli sponsor è utilissimo nella pianificazione dell’utilizzo delle risorse (fondi e personale) che può portare a un significativo risparmio economico che potrebbe essere investito in altre ricerche4.
Una volta che lo studio è partito è poi essenziale non “perdere pezzi” per strada: i partecipanti devono essere monitorati per tutto il tempo necessario e tutti i dati prodotti devono essere registrati in modo efficiente ed affidabile. L’IA può contribuire in modo determinante anche a svolgere questi compiti1.
In assoluto, l’intelligenza artificiale può fare molto di più, come generare coorti di pazienti virtuali o addirittura mimare uno studio clinico: sono i cosiddetti studi clinici in silico (IST, dall’inglese in silico trial)5.
Per illustrarne l’utilità torniamo all’argomento del reclutamento dei partecipanti. In uno studio clinico randomizzato, una parte dei pazienti viene assegnata in modo casuale – random, in inglese, da cui “randomizzato” – alla terapia sperimentale e una parte alle cure usuali o al placebo (gruppo controllo). Questo vuol dire che tre studi contemporanei che stanno sperimentando il farmaco A, il farmaco B e il farmaco C sulla stessa categoria di pazienti devono tutti reclutare un certo numero di pazienti per avere il gruppo di riferimento. L’IA può, partendo da dati reali di studi clinici già conclusi, creare set di dati “sintetici” con cui costruire una coorte controllo virtuale. I tre ipotetici trial di cui sopra potrebbero assegnare tutti i pazienti reclutati al trattamento sperimentale, confrontando questa coorte con la coorte controllo virtuale. Ciò significherebbe che: 1) a tutti i partecipanti sarebbe offerta la chance di ricevere il farmaco sperimentale (che potrebbe rivelarsi efficace); 2) le tempistiche di reclutamento si accorcerebbero; 3) i costi per la sperimentazione si ridurrebbero5. Le “coorti sintetiche” sono particolarmente utili nel caso di tumori rari ed eterogenei come la leucemia mieloide acuta, laddove la sperimentazione clinica di fase III è molto complessa per la difficoltà di avere un numero sufficiente di partecipanti6.
Questo approccio può essere spinto ancora oltre: si può predire il risultato di un intervento terapeutico. In questo caso, integrando informazioni già disponibili – non solo dati di studi clinici precedenti, ma anche, per esempio, dati provenienti dalla documentazione clinica dei pazienti e da studi di sequenziamento del DNA, di espressione genica e da tutti gli studi delle scienze omiche (es. proteomica e metabolomica) – si simula cosa succederebbe al gruppo sperimentale5. In oncoematologia, questo approccio è stato usato, per esempio, per simulare la risposta al trapianto di cellule staminali di pazienti con mieloma multiplo e individuare un gene che probabilmente gioca un ruolo in questa risposta5.
Naturalmente gli IST non potranno mai sostituire completamente gli studi clinici reali, ma sono uno strumento potente per perfezionarli.
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