Quasi un anno fa mi è stata diagnosticata la colite ulcerosa. Una malattia cronica mi dissero, ovvero che non se ne sarebbe andata mai, e di cui non avevo mai sentito parlare prima. In seguito avrei scoperto di avere avuto un esordio abbastanza da manuale - diarrea, gonfiori e bruciore di stomaco, perdite di muco, sangue, feci non formate – ma all'inizio pensavo fossero sintomi dovuti solo a un periodo difficile. Lo pensarono anche il mio medico di base e i miei famigliari, dopo tutto ero così giovane. Poi però è diventato chiaro a tutti che c'era dell'altro, anche se per un anno ho creduto che i sintomi sarebbero scomparsi da soli così come erano venuti.
Poi la situazione è peggiorata. I sintomi si sono aggravati, ho perso 15 kg. Non riuscivo più a condurre una vita normale e mi hanno dovuto ricoverare. È stato durante il periodo in ospedale che ho ricevuto la diagnosi. Ma la “pillola” sul momento mi è stata indorata: mi dissero che, dal momento che ero giovane e che esistevano dei farmaci per curarmi, con il tempo tutto si sarebbe risolto. In capo a un mese però ero di nuovo in ospedale, con i sintomi sempre più gravi. Avevo perso l'appetito e, cosa ancora più importante, anche la voglia e la forza di fare qualsiasi cosa. Questo secondo ricovero però mi ha smosso dentro qualcosa. Mi sono chiesta se davvero volevo
passare la mia vita avanti e indietro tra medici e ambulatori, guardando fuori dalla finestra ragazzi della mia età che facevano quello che avrei potuto fare io. Ho avuto molto tempo per pensare a me stessa, alla mia famiglia che ho sempre trascurato per il lavoro, e alla mia vita. Ho avuto tempo anche per conoscere e informarmi di più sulla colite ulcerosa. E alla fine ho capito che non bastavano le indicazioni dei medici per affrontare la malattia, era necessario un percorso su me stessa che mi avrebbe portato a convivere con il mio problema. E così ho fatto.
Ho iniziato a prendermi cura di me, della mia salute fisica e mentale. Ho iniziato a parlare liberamente della mia malattia, cercando di far capire in maniera più dettagliata possibile il mio disagio ad altre persone. Certo, non tutti hanno capito, e so che non tutti comprenderanno. Ma nei giorni più bui, una delle cose più importanti è stata quella di stare davvero bene con me stessa, senza pretendere sempre la comprensione degli altri.
Oggi, dopo un lungo percorso farmaceutico, alimentare e personale, mi sento decisamente meglio e voglio condividere la mia esperienza con più persone possibile per mostrare a tutti quanto sia meravigliosa la vita anche quando è imperfetta.
In ospedale ho visto tante cose brutte e tante cose belle: le porterò con me per tutta la vita e mi aiuteranno ad apprezzare ogni singolo giorno, anche il più buio. Si può convivere con questa malattia e farne un pregio anziché un difetto, di questo sono sicura!