Ufficialmente la mia storia di paziente è cominciata da poco, quando all’età di 34 anni ho ricevuto la diagnosi di rettocolite ulcerosa in fase moderata con displasia bassa. Non era la prima volta che sentivo parlare di questa malattia. Solo che avevo fatto finta di niente, o quasi. Quando erano arrivati i primi sintomi, infatti – circa sette anni fa – avevo preferito non dar loro troppo peso. Già era stato difficile fare i conti con una colonscopia: l'avevo sofferta tantissimo, era stata un'esperienza traumatica per me. Me l'aveva suggerita un chirurgo cui mi ero rivolta, più che altro per scrupolo: facevo sangue quando andavo in
bagno e credevo fossero solo emorroidi. Invece proprio dopo quell’esame ho sentito parlare per la prima volta di “sospetta rettocolite ulcerosa”.
Sembra assurdo a ripensarci, ma è stato così: semplicemente rifiutavo l'idea di non essere come gli altri, di aver problemi anche solo per andare al ristorante.
Poi però mi sono aggravata e sono stata malissimo. E dunque è arrivato il momento di fare i conti con quello che per anni avevo ignorato. La diagnosi stavolta è stata certa, quel “sospetta” è scomparso, così come sono scomparsi negli anni alcuni amici e fidanzati: non è facile stare vicino a chi ha una malattia come questa. Se non mangi tutto quello che ti offrono, se dici di aver dolore, pensano piuttosto che tu sia una ragazza viziata.
In effetti, per certi versi la malattia è quasi invisibile agli altri, e chi non la vede non può capire, né starti accanto. Non mia madre però, che mi ha vista davvero e mi ha sempre sostenuta. E oggi, dopo aver lungo ignorato la malattia, anche io non fingo più e soprattutto non mi nascondo più. Non mi devo vergognare se ho mal di pancia, se non riesco a mangiare. Così, oltre a evitare quello che so che mi potrebbe far star male, conduco una vita sana fatta di lunghe passeggiate e zero fumo e alcol. Insomma, non ho rinunciato a nulla. Convivo con questa “bestiolina”, è vero, ma non mi sento diversa dagli altri. Forse aver fatto pace con una diagnosi difficile fa bene anche alla mia malattia. Ma trovo ancora assurdo giustificarmi quando mi chiedono, ogni volta, perché non bevo caffè.