Trapianto autologo, approccio standard per il mieloma

MIELOMA MULTIPLO

Trapianto autologo, approccio standard per il mieloma

Il trapianto autologo di cellule staminali è stato a lungo ed è ancora oggi, nonostante i numerosi e significativi progressi nel campo delle terapie farmacologiche…

Il trapianto autologo di cellule staminali è stato a lungo ed è ancora oggi, nonostante i numerosi e significativi progressi nel campo delle terapie farmacologiche, il trattamento standard in tutti quei pazienti che hanno appena ricevuto una diagnosi di mieloma multiplo e che sono giudicati idonei a riceverlo. Ma cosa deve aspettarsi un paziente a cui viene fatta questa proposta di trattamento? Cerchiamo di capire meglio cos’è il trapianto autologo di cellule staminali e come funziona.

Il trapianto autologo di cellule staminali
In primo luogo è bene dire che il trapianto non rappresenta una cura definitiva per il mieloma multiplo, tuttavia si è dimostrato molto efficace nell’aumentare la sopravvivenza dei pazienti che vi si sottopongono.

Nel trapianto autologo di cellule staminali, si prelevano dal paziente cellule staminali che sono poi reinfuse dopo aver sottoposto il paziente ad un trattamento definito di consoliamento. I pazienti considerati idonei non devono avere patologie concomitanti e devono poter sostenere una fase di trattamento con alte dosi di farmaci chemioterapici. Sono presi in considerazione fattori come età anagrafica, eventuale presenza di comorbidità e performance status: i pazienti “giovani” (di età inferiore ai 70 anni), con buon performance status e senza importanti comorbidità possono essere considerati per chemioterapia ad alte dosi seguita dalla procedura trapiantologica.

Prima del trapianto e prima ancora del prelievo di cellule staminali, il paziente viene sottoposto a una cosiddetta “terapia di induzione”, un trattamento che ha lo scopo di ridurre la taglia tumorale e l’infiltrazione di plasmacellule nel midollo osseo. Il mieloma infatti è caratterizzato da una proliferazione e da un accumulo di plasmacellule maligne, un tipo di cellule prodotte dal midollo osseo e destinate alla produzione di anticorpi. Questa situazione nel caso del mieloma è però mutata da un evento oncogeno.

In secondo luogo si somministrano dei farmaci in grado di aumentare il numero di cellule staminali nel sangue dove poi possono essere raccolte attraverso un processo di aferesi in cui il paziente è collegato a un macchinario che preleva il sangue periferico da un braccio, lo trasferisce in una centrifuga che separa le cellule staminali. Queste vengono poi raccolte in una sacca a parte prima di reinfondere il sangue nel paziente attraverso un altro ago nell’altro braccio. Le cellule staminali raccolte sono poi congelate fino al loro utilizzo.

Una volta raccolte le cellule staminali, il paziente va incontro al trattamento chemioterapico ad alte dosi, chiamato “trattamento di condizionamento”, che ha lo scopo di eliminare il maggior numero possibile di cellule tumorali. Questo trattamento può avere forti effetti collaterali - che sono tra i fattori principali che vengono presi in considerazione quando si decide se un paziente è idoneo al trapianto.

A questo punto, una volta che il paziente ha completato il trattamento, riceve una trasfusione delle sue cellule staminali che, raggiunto il midollo osseo, andranno a produrre nuove cellule del sangue sane.
Segue quindi una “terapia di mantenimento” che aiuta l’organismo a conservare nel tempo la risposta ottenuta, prolungare la fase di remissione e la sopravvivenza del paziente.

Il tempo di recupero da un trapianto è solitamente di circa sei mesi, e occorrono tra le due e le sei settimane prima che le cellule del sangue tornino a livelli normali. Questo è uno dei motivi per cui, dopo un trapianto, si trascorrono le prime settimane in osservazione; anche quando si torna a casa si rimane in costante monitoraggio e bisogna prestare particolare attenzione ad infezioni, sanguinamenti, emorragie.

Trapianto tandem

Sempre più spesso si prende in considerazione la possibilità di sottoporre un paziente a un doppio trapianto autologo di cellule staminali, o “trapianto tandem”. Il secondo trapianto viene eseguito a breve distanza, entro sei mesi, dal primo.

Questa procedura, come spiega l’AIOM nelle sue linee guida, viene presa spesso in considerazione in quei pazienti che non hanno ottenuto una risposta soddisfacente dal primo trapianto o in caso di presenza di alterazioni citogenetiche definite ad alto rischio.

E il trapianto allogenico?

Il trapianto autologo, singolo o in tandem, ha il vantaggio di avere un impatto positivo sul microambiente del midollo osseo senza i rischi che comporta un trapianto allogenico, come per esempio i problemi di compatibilità o il Graft vs host disease (GVHD).

[n.d.r. Nel GVHD o, letteralmente "malattia del trapianto contro l'ospite", le cellule trapiantate, quelle provenienti dal donatore, stimolano i linfociti T ad attaccare non solo il tumore ma anche l'organismo ospite, quello del paziente che ha ricevuto il trapianto, che viene riconosciuto come estraneo. Questa è la principale causa di insuccesso del trapianto allogenico.]

Tuttavia secondo alcuni ricercatori, tra cui alcuni ricercatori dell’Ohio State University Comprehensive Cancer Center Columbus e altri dell’Universitätsklinikum Freiburg, questa
alternativa non andrebbe scartata a priori soprattutto in quei pazienti che vanno incontro a recidive dopo il trapianto autologo o in alcuni pazienti più ad alto rischio. Questo approccio andrebbe esplorato anche in considerazione dei continui sviluppi nelle strategie di contenimento e gestione degli eventi avversi come il GVHD.

Nel trapianto allogenico, i pazienti considerati idonei ricevono cellule staminali prelevate dal midollo osseo o dal sangue di donatori compatibili. Maggiore è la compatibilità, minore è il rischio di eventi avversi e GVHD post-trapianto. Purtroppo è estremamente difficile trovare donatori compatibili, anche tra consanguinei, come per esempio tra fratelli e/o sorelle.

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Bibliografia e Fonti:

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