In molti casi l'approccio chirurgico al tumore prostatico è una scelta obbligata. L'intervento è rappresentato dalla prostatectomia radicale, ovvero la rimozione dell'intera ghiandola prostatica, delle vescicole seminali e, generalmente, dei linfonodi presenti nel bacino allo scopo di eliminare il tumore nella sua interezza. L'intervento può condurre a guarigione definitiva quando la neoplasia è confinata all'interno della ghiandola.
Prima dell'intervento i pazienti vengono informati dei potenziali rischi: la prostatectomia può condurre infatti a problemi urinari, principalmente incontinenza, e a difficoltà transitorie o permanenti a raggiungere l'erezione. Oggi però le tecniche chirurgiche si stanno evolvendo consentendo, almeno in parte, una riduzione di questi rischi.
Partiamo intanto dalle tipologie di intervento. Quella per così dire "classica" è rappresentata dalla prostatectomia radicale a cielo aperto: il chirurgo pratica un’incisione nell’addome o a livello del perineo (l’area tra lo scroto e l'ano) e da lì interviene sulla ghiandola, asportandola. L'intervento è complesso e prevede tempi di recupero abbastanza lunghi.
Diverso è il caso degli interventi mininvasivi, che possono avvenire in modo tradizionale o assistito da robot. La prostatectomia mininvasiva prevede alcune piccole incisioni nella parte inferiore dell’addome, attraverso le quali il chirurgo introduce una videocamera e gli strumenti chirurgici necessari. Le minori incisioni consentono tempi di ricovero e di recupero più brevi e minori rischi postoperatori, soprattutto in termini di possibili emorragie. L'intervento mininvasivo tramite robot è sostanzialmente simile, ma con i vantaggi tipici del maggiore controllo operatorio permesso da queste nuove tecnologie. Va segnalato che a oggi i robot adatti a praticare l'intervento sono sempre più diffusi su tutto il territorio nazionale.
Le tre tecniche - a cielo aperto, mininvasiva e mininvasiva robot-assistita - sono quindi caratterizzate da un diverso recupero postoperatorio, ma non mostrano un diverso impatto sulle conseguenze più temute dai pazienti, ovvero quelle urinarie e, soprattutto, sessuali. Proprio per andare incontro all'esigenza di minimizzare l'impatto sulla vita sessuale degli uomini colpiti da tumore prostatico, da tempo vengono adottati approcci chirurgici ancora differenti che mirano a conservare la funzione erettile.
La ragione principale per la quale la prostatectomia totale può causare un deficit erettivo sta nel fatto che l'asportazione della ghiandola e dei tessuti a essa collegati può lesionare i due fasci nervosi responsabili dell'erezione che passano ai lati della prostata per raggiungere il pene. Per aumentare le probabilità di un mantenimento o di un buon recupero dell'erezione vengono oggi impiegate le cosiddette tecniche nerve-sparing in grado di risparmiare uno o entrambi i fasci. Va detto che si tratta di tecniche che non possono essere adottate in tutti i casi, ma soltanto quando le caratteristiche del paziente e del tumore lo consentono. In particolare il tumore deve essere confinato dentro la ghiandola prostatica e non si deve trovare troppo vicino ai fasci nervosi stessi.
Si tratta di un intervento non semplice e che non sempre può essere portato a termine con successo. In particolare il maggior rischio è che con questa tecnica il tumore non venga rimosso completamente. Va poi precisato che il successo in termini di mantenimento della funzione sessuale dipende anche da molti altri fattori: ad esempio dalla qualità delle erezioni prima dell'intervento, dalla peculiare anatomia del paziente, da diversi aspetti legati al tumore e naturalmente dall'esperienza dell'équipe chirurgica. Le tecniche nerve-sparing sono più di una e anche questo, insieme alla scarsa controllabilità di tutti i fattori citati, non ha fino a oggi consentito di raccogliere dati ampi e uniformi sulla loro efficacia. In ogni caso è sempre il chirurgo, di fronte all'indicazione di prostatectomia radicale, a dover valutare attentamente il caso per poter scegliere e proporre la tecnica migliore in funzione del paziente e della sua malattia.
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