19 Aprile 2021
La sua funzione è quella di mantenere fluido il liquido seminale espulso durante l’eiaculazione, per consentire agli spermatozoi di nuotare all’interno della cervice uterina.
Viene comunemente utilizzato come indicatore di possibili patologie a carico della prostata, perché variazioni dei livelli di PSA possono essere conseguenza di infiammazioni o formazioni tumorali. Tuttavia, il PSA, pur essendo un marcatore specifico della prostata, non è un marcatore certo delle patologie che colpiscono la prostata: un innalzamento dei livelli di PSA, infatti, può dipendere sia da processi neoplastici sia da condizioni benigne, quali ad esempio la prostatite e l' iperplasia prostatica benigna.
L’aumento del PSA è più che altro un campanello di allarme, che non deve essere sottovalutato, anche se potrebbe trattarsi di un segnale del tutto innocuo.
Il suo utilizzo come marcatore tumorale è, a tutt’oggi, piuttosto controverso, perché contribuisce a diagnosticare forme tumorali di stadio iniziale e a lenta progressione, che avrebbero potuto restare latenti e asintomatiche per molto tempo. Il rischio, in questi casi, è quello di causare una preoccupazione inutile nel paziente, oltre a sottoporlo a trattamenti non necessari, i cui effetti collaterali spesso compromettono la qualità di vita.
Allo stesso modo, un incremento del valore di PSA nel sangue può essere influenzato da numerosi fattori, producendo dei falsi positivi, e il paziente potrebbe preoccuparsi inutilmente. Tra le condizioni che possono determinare un aumento del PSA ricordiamo, per esempio:
Di norma, il dosaggio del PSA nel sangue dovrebbe venire eseguito a 30-60 giorni di distanza da un esame tra quelli elencati in precedenza, o comunque a distanza di tempo da un’infiammazione prostatica.
Il PSA, dunque, non può essere considerato un sicuro indicatore di tumore alla prostata, ma può far nascere il sospetto di questa patologia; in queste situazioni, il medico consiglierà altri esami per accertare la presenza di una neoplasia, in particolare la biopsia della prostata.
Maggiore è il valore del PSA totale, maggiore la probabilità (e, quindi, non la certezza) di riscontrare un tumore nella prostata. Questo schema sintetizza come a livelli elevati di PSA corrisponda una possibilità più concreta della presenza di una neoplasia confinata alla ghiandola prostatica:
PSA Totale (tPSA)Probabilità di riscontrare un tumore prostatico
0-4 ng/ml10% (nel 90% dei casi si tratta di una forma organo confinata)
4-10 ng/ml25% (nel 70% dei casi si tratta di una forma organo confinata)
> 10 ng/ml50% (nel 50% dei casi si tratta di una forma organo confinata)
A livello diagnostico, l’esame del PSA viene consigliato nella popolazione maschile soprattutto dopo i 50 anni di età, ma può essere prescritto dal medico anche prima, soprattutto in caso di familiarità con il tumore alla prostata o in presenza di sintomi che potrebbero far ipotizzare una malattia in fase iniziale.
Molto importante è poter valutare le variazioni di PSA nel tempo, per questo motivo si ricorre a calcoli più sofisticati come il PSA velocity, che valuta la velocità di accrescimento dell’antigene prostatico specifico, il PSA doubling time, che monitora il suo tempo di raddoppiamento, il PSA density, che rapporta il PSA circolante alle dimensioni della prostata, ed il rapporto tra PSA libero e PSA legato a proteine di trasporto, poiché il primo è meno influenzato dalla presenza di un tumore.
Oltre all’utilizzo per la diagnosi, lo screening del PSA viene eseguito anche durante le terapie, per monitorare l’evoluzione del tumore e la risposta ai trattamenti. Se il PSA diminuisce nel tempo, significa che la terapia sta funzionando.
Inoltre, il test del PSA dovrebbe essere ripetuto regolarmente quando la malattia è in remissione o nei casi in cui progredisce molto lentamente: in queste situazioni, infatti, controllare l’andamento del PSA aiuta ad anticipare eventuali riprese biochimiche del tumore e trattarle in tempo.
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Codignola A, Lo screening non serve ma l’esame sì, Fondamentale, AIRC, Giugno 2012: 7-9.
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