La depressione si configura come una patologia dalle numerose sfaccettature e classificazioni, a seconda del tipo, della durata e della gravità dei sintomi. Negli anni la depressione è diventata sempre più oggetto di attenzione a livello internazionale: nel 2008 la Commissione Europea l’ha inserita tra i cinque ambiti prioritari del Patto europeo per la salute e il benessere mentale.
Chi ne soffre ha un significativo peggioramento della qualità della vita e limitazioni nelle attività quotidiane.
Quando si parla di “Depressione Maggiore”, si intende la forma classica di depressione. Tra tutti i disturbi dell’umore, è il più diffuso nel mondo, benché con distribuzione diversa a seconda della situazione economica e socioculturale. Si può manifestare anche una sola volta nell’arco della vita, ma raramente la depressione di questo tipo si circoscrive ad un singolo episodio: il più delle volte invece il disturbo è ricorrente e richiede la massima attenzione, per non confondere la Depressione Maggiore con la tristezza e la sofferenza per cause fisiologiche oppure reattive, come un lutto.
È caratterizzata da episodi distinti, che comportano nette modificazioni affettive, cognitive e relazionali nell’individuo. Si manifesta comunemente con sintomi marcati e presenti pressoché sempre durante tutto l’arco della giornata, per quasi tutti i giorni. Gli episodi depressivi maggiori hanno una durata variabile da persona a persona, che va da poche settimane fino a protrarsi anche per diversi anni: nel 40% dei casi la malattia persiste per più di un anno, e in oltre il 15% dei casi anche oltre due anni. In assoluto, per effettuare una diagnosi di depressione maggiore devono essere presenti almeno cinque sintomi tra quelli elencati nel DSM-5, e devono manifestarsi contemporaneamente per almeno due settimane di seguito. I sintomi principali comprendono: umore depresso per la maggior parte del giorno, quasi tutti i giorni e marcata diminuzione di interesse o piacere per tutte, o quasi tutte, le attività per la maggior parte del giorno, quasi ogni giorno. Inoltre, possono essere presenti altri disturbi come un calo importante di peso o al contrario un aumento, senza avere seguito una dieta, insonnia o viceversa ipersonnia, ovvero sonno esagerato, agitazione oppure rallentamento psicomotorio, cioè nei movimenti e nei pensieri. Possono far parte del corollario di disturbi anche il senso di fatica oppure mancanza di energia, sentimenti di autosvalutazione oppure di colpa, in entrambi i casi di proporzione esagerata, un calo drastico nella capacità di ragionamento o di concentrazione, o ancora, un senso di indecisione che riguarda anche le azioni più banali, e una drastica riduzione del desiderio sessuale. Talvolta sono presenti anche pensieri ricorrenti di morte, oppure veri e propri proprogetti di suicidio.
Viene definita anche disturbo depressivo persistente (DDP) ed è una forma di depressione cronica che si manifesta quasi tutti i giorni per almeno due anni nei pazienti adulti o un anno nei bambini e negli adolescenti. A differenza della depressione maggiore, i sintomi sono più attenuati, tanto che la persona riesce a far fronte alle attività giornaliere, ma è presente un’importante sofferenza psicologica. L’umore dunque è depresso, e in più possono esserci due o più sintomi tra quelli elencati nel DSM-5. Per citarne alcuni: scarso appetito o al contrario un aumento esagerato del senso di fame, insonnia o sonno eccessivo, senso di disperazione.
Il disturbo disforico premestruale (DDPM) è l’acutizzazione della sindrome premestruale. Le differenze tra la sindrome premestruale e il disturbo disforico premestruale sono notevoli. Entrambe iniziano di solito a dare disturbi dopo le prime mestruazioni e ricorrono puntualmente ogni mese. I disturbi inoltre cominciano a manifestarsi in corrispondenza dell’ovulazione per poi calare gradualmente fino a scomparire con la fine del flusso. Nel caso della sindrome premestruale però i sintomi, come irritabilità, tristezza e facilità al pianto, sono di lieve entità, tali da non impedire alla donna di svolgere le proprie attività, anche se talvolta con fatica. Nel caso del Disturbo Disforico Premestruale invece i sintomi sono marcati e interferiscono significativamente con la vita quotidiana.
Anche per questa forma depressiva, come per la depressione maggiore, devono essere presenti almeno cinque sintomi, associati a uno stato di disagio generale, o che interferiscono in maniera importante con le attività quotidiane. I sintomi comprendono ad esempio, per citarne solo alcuni, una marcata labilità affettiva come sbalzi di umore, tristezza improvvisa o tendenza al pianto, un umore marcatamente depresso, sentimenti di disperazione o pensieri autocritici, variazioni importanti dell’appetito, consumo eccessivo di alimenti o desiderio di particolari categorie di cibi.
La depressione post-partum, o DPP, chiamata anche depressione puerperale, è un disturbo che colpisce, con diversi livelli di gravità, le neomamme, più frequentemente tra la sesta e la dodicesima settimana dopo la nascita del figlio. Tale patologia è caratterizzata da crisi di pianto, netti cambiamenti di umore, irritabilità generale, perdita dell’appetito, insonnia o ipersonnia, assenza di interesse nelle attività quotidiane e/o verso il neonato. I sintomi sono intensi, non migliorano nelle settimane successive alla nascita del figlio, ma possono persistere, variando d’intensità, anche per molti anni. Possono quindi avere conseguenze più o meno significative non solo sulla salute mentale della donna, ma anche sulla relazione madre-figlio, sullo sviluppo del bambino e sull’intero nucleo familiare.
La depressione post-partum va distinta dalla più grave "psicosi puerperale", che è accompagnata da un corollario di sintomi di tipo psicotico, e dalla “baby blues”, una reazione abbastanza comune nelle giornate dopo il parto, caratterizzata da un mix di malinconia, tristezza, irritabilità e che tende a svanire da sé nell’arco di un paio di settimane. La “baby blues” è dovuta essenzialmente al drastico cambiamento dell’assetto ormonale nelle ore successive al parto e alla stanchezza fisica e mentale provocata dall’evento.
La depressione è tra i problemi più frequenti nell’anziano, in entrambi i sessi. Può essere una forma depressiva presente già nell’ adulto che si trascina anche nella terza età, oppure una forma ex novo, che si manifesta proprio in questa fase della vita. Una maggiore incidenza si registra in individui residenti in centri assistenziali o durante regimi di ricovero prolungato. Rispetto alla forma che colpisce gli adulti, la depressione nell’anziano ha delle caratteristiche peculiari che rendono sfumati i confini tra psichiatria, neurologia e geriatria. I fattori più spesso associati alla depressione tardiva sono: il sesso femminile, comorbilità, disturbi cognitivi, disabilità, scarsi contatti sociali, eventi stressanti, storia pregressa di depressione e tratti particolari della personalità. La presenza in particolare di una comorbilità, cioè di un’altra malattia, rende i disturbi depressivi più intensi, con episodi maggiormente prolungati rispetto a quelli dell’anziano che ha solo depressione. Sono anche più frequenti e intensi i sintomi somatici, con uno stato di lamentela che riguarda dolori di diversa origine come mal di schiena, vertigini, mal di gambe, stitichezza e che può degenerare in forme di ipocondria.
È una forma di depressione atipica, denominata stagionale, o SAD. Il calo di umore insieme agli altri sintomi infatti segue l’andamento delle stagioni. La forma di depressione stagionale più frequente è quella autunnale/invernale, mentre è più rara quella primaverile/estiva. Si differenzia dalla malinconia che può colpire talvolta con l’autunno perché non è uno stato transitorio, che si risolve da sé nell’arco di breve tempo, ma si ripete ciclicamente ogni anno, con sintomi che perdurano per mesi.
Per entrambe le forme, i sintomi sono presenti nella stessa stagione da almeno due anni di seguito. I sintomi della forma invernale del disturbo sono centrati su umore basso ed astenia: i soggetti affetti da disturbo affettivo stagionale si sentono tristi, irritabili e con facilità al pianto; riferiscono stanchezza e letargia, difficoltà di concentrazione, ipersonnia, ridotti livelli di attività ed energia, evitamento di situazioni sociali, brama per carboidrati e zuccheri e tendono ad ingrassare per eccesso alimentare.
Al contrario, i sintomi della forma estiva del disturbo sono: inappetenza associata a perdita di peso, insonnia, agitazione, irrequietezza, ansia, irritabilità e perfino episodi di comportamento aggressivo.
Anche i giovanissimi possono soffrire di depressione. Nel caso della depressione maggiore, si instaura una profonda tristezza che si differenzia da quella comune che può riguardare sia bambini che adolescenti, perché è costante per almeno due settimane consecutive ed è associato alla perdita di entusiasmo e interesse per ogni attività. In alcuni casi inoltre, nel bambino non c’è calo dell’umore ma al contrario un forte stato di irritabilità, con iperattività e aggressività. Bambini e adolescenti vanno tenuti sotto osservazione anche nei periodi di remissione dei disturbi, dal momento che le ricadute sono piuttosto frequenti. È necessaria infine una particolare attenzione nei loro confronti poiché, come per gli anziani, è elevato il rischio di suicidio. Secondo i recenti dati dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), il suicidio costituisce la seconda causa di morte tra le ragazze e la terza per i ragazzi tra i 15 e i 19 anni.
La componente suicidaria anche se in forma lieve o lievissima può interessare molte delle persone che vivono uno stato depressivo. Per fortuna solo una piccola percentuale di esse sperimenta una vera e propria ideazione suicidaria strutturata, sviluppa veri e propri progetti anticonservativi o mette in atto tentativi suicidari. Quando ciò avviene si tratta in ogni caso di una situazione di emergenza con serio rischio per la vita del paziente.
Sebbene il suicidio sia strettamente legato a varie forme depressive, non necessariamente il gesto suicidario di una persona è inserito nel contesto di una condizione depressiva. Per questo motivo si è sviluppato da diversi decenni un filone di studio specifico di tale fenomeno che prende il nome di “suicidologia”.
Un elemento caratteristico che le persone a rischio di suicidio riportano spesso è il dolore mentale insopportabile, accompagnato da una profonda tristezza e da uno stato di angoscia molto intenso per un problema che, secondo la persona che si ritrova in questa situazione, non trova soluzioni. È uno stato complesso che non ha una singola causa e neppure, molte volte, un motivo preciso e che coinvolge radicalmente la famiglia, tanto che oggi le persone vicine a chi si suicida vengono a loro volta ritenute a rischio.
Manuale di psichiatria, A. Rossi, M. Amore, B. Carpiniello, A. Fagiolini, G. Maina, A. Vita. Ed. Edra
Depressione, Sezione La nostra salute>Enciclopedia salute>Disturbi psichici, Ministero della Salute
La prevenzione del suicidio, M. Pompili. Ed. Il Mulino
Manuale di Psichiatria Contemporanea, A. Fiorillo, U. Albert, G. Carrà, B. Dell’Osso, M. Pompili. Ed. Alpes www.prevenireilsuicidio.it
National Institute of Mental Health (www.nimh.nih.gov)
Epicentro, Istituto Superiore della Sanità
La salute mentale in Italia. Libro bianco 2019, Fondazione Onda. Franco Angeli Editore
www.salute.gov sezione disturbi psichici
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