Poca flessibilità, scarsa meritocrazia, cattiva gestione delle risorse sono solo alcune delle cause che possono portare al manifestarsi della depressione da lavoro, un fenomeno ancora più accentuato dall’arrivo della pandemia.
Un ambiente di lavoro sano è fondamentale per condurre una vita equilibrata e favorire una carriera di successo. Tuttavia, non è raro trovare situazioni spiacevoli e contesti difficili in cui integrarsi. Questi elementi, se non gestiti in tempo e con efficacia, possono dare vita a stati di ansia e depressione.
A confermarlo è anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità, secondo cui, sebbene il lavoro faccia bene alla salute mentale, ci sono diversi elementi che possono mettere a rischio lo stato psicologico dell’individuo.
Le cause che possono dare vita ai sintomi depressivi da lavoro sono diverse: le politiche di salute e sicurezza inadeguate che espongono il lavoratore a rischi fisici con gravi conseguenze sul benessere psicologico; le scarse pratiche di comunicazione e gestione fra colleghi e con i propri capi, che creano incomprensioni e tensioni; i limiti di partecipazione ai processi decisionali e lo scarso controllo delle proprie responsabilità, i pochi sostegni ai dipendenti dati dall’azienda.
A contribuire sono anche gli orari di lavoro poco flessibili e la disorganizzazione, tutti fattori che portano alla percezione di un senso di costrizione e impotenza.
Anche le condizioni contrattuali instabili, come gli stage, e il conseguente senso di precarietà, generano malessere psicologico e depressione fra i più giovani. Ma i sintomi si possono sviluppare anche fra figure con cariche più senior, a causa dello stress a cui sono soggette, legato sia a carichi eccessivi di lavoro, sia a compiti che comportano rischi elevati.
Importante è che l’individuo interessato e/o i suoi familiari, amici e colleghi, riconoscano i sintomi in tempo così da poter procedere con l’inizio delle cure adeguate. I principali campanelli di allarme della depressione da lavoro sono: l’aumento dei livelli di ansia, il senso di noia per le proprie mansioni e la perdita di interesse, la mancanza di motivazione, l’umore a terra e la tristezza costante, il senso di impotenza ed inutilità, la ridotta capacità decisionale e anche l’aumento delle assenze dall’ufficio.
Il manifestarsi della patologia depressiva può generare dei costi a livello lavorativo molto alti: in Italia vengono persi circa 99.3 miliardi di euro a livello di produttività all’anno. Si stima, inoltre, che 1 persona su 10 si è presa una pausa dal lavoro a causa della malattia perdendo in media 36 giornate lavorative per ogni singolo episodio depressivo.
La pandemia ha contribuito a peggiorare la situazione. L’emergenza sanitaria ha infatti portato molte persone alla perdita della propria occupazione e quindi ad una condizione di totale instabilità economica e, di conseguenza, a volte anche mentale. Inoltre, con lo smart-working, per alcuni tuttora attivo, c’è stata una totale privazione della socialità lavorativa e una difficile imposizione di limiti con la vita privata.
A subirne maggiormente le conseguenze sono state le donne: a fronte di un calo degli occupati di 101mila persone a dicembre 2020, 99mila sono proprio di sesso femminile. Mentre coloro che sono riuscite a mantenere il proprio impiego hanno riscontrato difficoltà in grado di incidere sul proprio stato psico-emotivo: i potenziali vantaggi dello smart-working per le donne sono stati, infatti, oscurati da alcune dinamiche sociali che comportano un disequilibrio fra vita domestica e lavorativa.