Ho scoperto la mia colite ulcerosa a 17 anni, ma si prendeva pezzetti di me già da oltre un anno, anche se a lungo avevo cercato di non farci caso. I sintomi non sono arrivati tutti insieme, ma si sono presentati via via nel tempo sempre più forti, sempre più difficili da ignorare. Quando ero adolescente era più facile sottovalutarli, e potevo fare finta che non esistessero, per continuare a fare tutto quello che ero abituata a fare, a scuola e con gli amici. Ma a un certo punto è stato impossibile non dare retta a quei segnali che il mio corpo mi stava inviando. Avevo sangue nelle feci, spasmi e contrazioni addominali a ogni ora del giorno e della notte, svenimenti continui, dolori a tutte le articolazioni, la mente annebbiata. E avevo perso tantissimo peso. Era insomma chiaro che non potevo più svolgere una vita “normale”.
La scoperta di avere la colite ulcerosa è arrivata in un modo brusco ma tardivo, quando in tutto il mio organismo si era ormai innescato un processo autodistruttivo per il quale ho subito un lungo ricovero. I risultati dei primi prelievi erano spaventosi. Niente andava come doveva, tutti i valori erano sballati. Il ricovero però è servito a dare un nome a tutto quello che mi portavo dentro da un po'. E questo mi ha aiutato. Quando stai bene non ci pensi, ma quando ti ritrovi prosciugata da un fantasma è importante poterlo chiamare per nome, sapere che volto ha. Perché solo così puoi scoprire che ci sono tante persone che lottano come te, e trovare un coraggio che non pensavi di avere.
Certo, non è stato facile: ero giovanissima e soprattutto all'inizio non sono stata ascoltata come avrei dovuto. Anzi: qualcuno parlava di ansia, altri di anoressia, ma senza interrogarsi oltre. Se non fosse stato per me, per la mia famiglia, e soprattutto per mia madre – che non si è mai accontentata di risposte facili e generiche – forse oggi sarei ancora in cerca del nome di quel fantasma. Che con la sua imprevedibilità ha tolto tanto alla mia vita.
Per colpa della malattia, infatti, non sono riuscita a finire gli studi e non ho preso il diploma. Ho fatto dei corsi, come e dove potevo, e alla fine sono riuscita a fare il lavoro che volevo, anche se questo rimane ancora oggi uno degli aspetti più delicati della gestione della mia malattia e della mia vita. È stato facile? No. Ne vale la pena lo stesso? Sì. Ma a un certo punto serve trovare una bussola, avere qualcuno che ci faccia da spalla e supporto.
È successo durante una lunga riacutizzazione, quando pochi giorni prima di iniziare la terapia biologica sono riuscita a partecipare ad un convegno.
Sono passati tre anni da allora, e da quel momento porto con me tanta grinta. Prima invece era solo paura ed insicurezza, ma sono riuscita a trasformarla. Come? Parlando con le persone, confrontandomi attraverso i giusti canali, e suggerisco a chiunque come me lotti ogni giorno contro la colite ulcerosa di farlo. È la strada giusta per capire che non dobbiamo vergognarci della nostra malattia e tanto meno delle nostre battaglie. Da quando ho la colite ulcerosa ho vissuto tanti piccoli traguardi, come riuscire a fare il viaggio dei sogni, dopo tanti sacrifici e paure, riuscire a farmi capire. Ma ho anche imparato che si può amare ed essere amati. Mando un abbraccio a chi come me lotta ogni giorno. E ricordatevi: noi siamo coraggiosi!