Ero giovane e non avevo proprio idea di quello che mi stesse succedendo. Ci sono voluti un bel po’ di tempo e di chilometri percorsi per dare un nome al mio malessere. Quel mix di dolori addominali, febbre, diarrea - che oggi so bene essere i sintomi distintivi della malattia di Crohn - è stato a lungo qualcosa di inspiegabile.
Ho fatto decine di accertamenti, test, esami, ma nessuno riusciva a capire perché stessi così male, quale fosse la causa di quel malessere. D’altra parte, ero giovane: cosa mai avrei potuto avere di grave? Ignoravo l’esistenza di malattie come quella di Crohn, che colpiscono anche e soprattutto i giovani. E d’altronde all’epoca, cioè alla fine degli anni Novanta, di Crohn si parlava assai meno di quanto si faccia oggi.
Per arrivare a una diagnosi, insomma, ho dovuto cambiare Regione. È successo quando sono arrivata, dopo varie peripezie, in un altro ospedale, in Umbria. Nuovi esami, nuove visite, e stavolta anche una diagnosi: malattia di Crohn. Avevo ventisei anni.
Ho cominciato la terapia cortisonica, e mi sentivo sollevata dall’aver dato un nome al mio malessere. Finalmente sapevo cosa mi aveva reso la vita difficile per tanto tempo. Purtroppo il sollievo non è durato a lungo. Dopo un anno sono stata sottoposta a un intervento di colostomia, un intervento chirurgico impegnativo nel quale l’intestino crasso è stato deviato e collegato a un’apertura che mi era stata creata sull’addome. Questo ha comportato l’uso di sacchetti per la raccolta delle feci, da cambiare e pulire continuamente, che hanno reso la mia vita molto complicata per sette lunghi mesi. Per fortuna, in seguito, la stomia è stata ricanalizzata: avevo di nuovo il mio intestino e una qualità di vita decisamente migliore.
Eppure la malattia non se ne era andata. Anzi. Dopo un lungo periodo di relativa serenità il Crohn è tornato, e la mia esistenza è cambiata di nuovo. Succede così: è come stare su un’altalena. A periodi in cui si sta meglio seguono periodi in cui la malattia si ripresenta con tutta la sua forza. A me è successo dopo dieci anni. E come la malattia, anche la mia vita segue oggi il ritmo di un’altalena: su e giù, alti e bassi, al lavoro come in famiglia.