Ci ho messo un po' per far spazio alla retto-colite ulcerosa nella mia vita, anche se la malattia quello spazio lo aveva già preso da sola. Ho venti anni e sono malata da quando ne avevo appena 13. E se non è mai facile essere malati, esserlo da bambini lo è ancor meno. I primi tempi ho fatto finta di niente, o meglio ci ho provato. Ricordo che all'inizio di tutta questa storia mi vergognavo tantissimo e tendevo a isolarmi poiché mi sentivo diversa dagli altri. Nessuno dei miei amici ne era a conoscenza ed io stavo bene così. Inventavo una scusa e mentivo quando dovevo fare una visita in ospedale perché non volevo che gli altri pensassero che fossi malata. Ma neanche io volevo pensarlo: se mi guardo indietro mi accorgo di quanto rifiutassi l'idea di avere una malattia così invalidante. Era un pensiero che mi faceva arrabbiare, lo negavo al punto che per protesta evitavo di prendere i farmaci che mi venivano prescritti, ripetendomi: “Non è vero, io non sono malata. Non ho bisogno di questa roba”. Non sopportavo gli ospedali – in fondo, come darmi torto - e per evitarli spesso mentivo a mia madre sul mio stato di salute: sapevo che se le avessi detto di stare male mi ci avrebbe portata. Per un po' di tempo è andata avanti così, negando la realtà, poi, finalmente, sono arrivata ad accettarla. A un certo punto è arrivata la consapevolezza e con questa più responsabilità nei confronti miei e della malattia, che ne richiede tanta. Non è facile conviverci: arriva a toglierti il sonno perché il dolore diventa insopportabile anche nel cuore della notte, si porta via tutte le energie, lasciandoti stremata anche senza fare niente. Il fisico cambia di continuo, inevitabilmente, tra ripetuti sbalzi di peso, stanchezza cronica, affaticamento, spossatezza. Dimagrisci 10 kg e due settimane dopo ne prendi il doppio. Vietati i cibi preferiti, mangi poco eppure ti vedi gonfia. Ti alleni allo sfinimento, segui una dieta dopo l’altra, perché tenti di arrivare ad avere il fisico dei tuoi sogni, ma sai che non ci arriverai mai. E poi c'è lo sconforto: non di rado mi sono sentita in colpa perché avrei voluto fare di più in determinate situazioni, eppure c’era qualcosa che mi bloccava e mi impediva di dare il massimo. E per una ragazza determinata e tenace come me tutto questo è davvero faticoso.
Nonostante la mia avversione, gli ospedali sono stati la mia normalità e la mia quotidianità da sempre. Ma il 2021 è stato un anno davvero terribile, e forse proprio per questo mi sono decisa a scrivere queste parole. Sono stata ricoverata tre giorni prima di Natale perché il mio corpo non ce la faceva più. Ho passato le festività circondata da flebo e medici che mi vedevano piangere perché volevo tornare dalla mia famiglia. Ma la mia emoglobina era scesa a 4 e il mio corpo non era in condizioni di farmi andare a casa. Adesso tra farmaci, iniezioni e flebo, posso dire di stare finalmente bene e vorrei che questo periodo durasse per sempre. So che non sarà così, una cura definitiva per la mia malattia ancora non c’è, e io so che prima o poi tornerò a soffrire. La rettocolite ulcerosa è così: un giorno stai bene e quello dopo stai a pezzi.
So che là fuori ci sono altre persone che si trovano nella mia stessa situazione, che lottano tutti i giorni contro questa malattia, e questo mi aiuta a sentirmi meno sola. Chi mi conosce bene sa che amo la vita, che amo essere felice e che mi piace, a mia volta, trasmettere felicità e spensieratezza a chi mi sta intorno, strappare un sorriso agli altri. Per questo prometto che, malgrado tutte le sfide che la malattia mi chiama ad affrontare ogni giorno, non perderò mai la mia voglia di vivere e sorridere, e tanto meno la mia allegria. Lo prometto agli altri, ma soprattutto a me stessa.