Ho la malattia di Crohn da 34 anni, ho fatto otto interventi – finora, ma chissà cosa mi riserva il futuro – uno dei quali mi ha portato in regalo una bella ileostomia definitiva. Ma malgrado tutto vi assicuro che la mia vita è perfetta così. Non fingo, lo dico col cuore e in tutta sincerità.
Certo, non ho avuto una vita semplice: prima di conoscere il nome del mio nemico sono stata malissimo per quattro lunghi anni, senza sapere dove sbattere la testa. Poi è arrivata la diagnosi e ho avuto un primo momento di sollievo: credevo che avrei potuto curarmi, guarire, risolvere. Sì, avrei potuto curarmi, ma guarire mai. Quando l'ho capito ho realizzato che disperarmi non sarebbe servito a molto, e ho pensato: “bene, c'è chi ha i capelli biondi o gli occhi azzurri, io ho la malattia di Crohn, ma la vita continua”. È così che ho iniziato a vederla in modo diverso, ho imparato ad accettarla e sono andata avanti con la mia vita, anche se a tratti non è stato affatto facile.
A dire la verità c'è stato un momento in cui la malattia mi ha costretto a fermarmi, a rinunciare al lavoro che ho fatto e che ho amato tantissimo: la cuoca. Stavo così male che non solo non riuscivo più a lavorare, ma neanche a fare la spesa. Ho provato a combatterla con le terapie, ne ho cambiate diverse, ma non è bastato, e ho tentato con la chirurgia, più e più volte. A 44 anni, alla mia quarta volta in sala operatoria, ho subito una ileostomia definitiva. Ricordo ancora le parole del gastroenterologo che mi seguiva: quando è entrato in camera per spiegarmi in cosa consisteva l'intervento era visibilmente preoccupato. Alla fine della spiegazione l'unica cosa che io invece gli ho chiesto è stata se la qualità della mia vita sarebbe migliorata dopo. Mi ha risposto che sì, sarebbe migliorata, e a me è bastato: per me contava solo questo. Tornata a casa ho messo subito in chiaro che non volevo essere trattata come un'invalida e così è stato, grazie all'amore e al sostegno di mio marito – per cui sono rimasta sempre la donna che ha sposato ormai tanti anni fa – e delle due mie due bellissime figlie.
Se ce l'ho fatta è stato grazie al loro supporto, che non è mai mancato, ma anche grazie al mio tentativo di guardare il lato positivo, che c'è sempre, anche dove penseresti di non trovarlo, lì in una stomia. C'è ancora chi si sorprende quando me ne sente parlare con tanta disinvoltura, ma è così. Oggi, a 55 anni, posso dire a chi come me soffre di questa malattia che sì, non si guarisce, ma si può vivere lo stesso: sono riuscita a lavorare e farmi una famiglia, con due nipoti meravigliosi. Accettare la malattia è il primo passo per continuare a vivere, serve tanta forza di volontà, ma si può, si deve reagire.