Il prossimo luglio sarà passato un anno. Niente da festeggiare: la scorsa estate, infatti, mi veniva diagnosticata una severa pancolite ulcerosa: si chiama così la colite ulcerosa quando interessa tutto l'intestino crasso. Eppure oggi, dopo essere arrivata finalmente a una diagnosi dopo un lungo percorso tra medici e ospedali, sto abbastanza bene. Al punto che, almeno fino ad ora, la malattia non ha avuto un grosso impatto sulla mia vita: studio all'università, gioco a pallavolo in serie D, esco con i miei amici. Mi sento normale, anche se ho l'impressione che quando sono più ansiosa e stressata, per esempio a ridosso degli esami o nei giorni in cui ho delle gare, il mio intestino ne risenta: sento diverse fitte alla pancia, che aumentano al crescere della tensione sportiva. Per fortuna riesco a gestire tutto e a non rinunciare a nulla. Certo, da quando si è scatenata la malattia ho qualche problema in più anche a livello dermatologico: sin da piccola soffro di dermatite atopica, una condizione che da quando è arrivata l'infiammazione all'intestino sembra essere aumentata. E poi noto spesso fastidiose fessurazioni sulle mani e la pelle del viso più secca e rovinata. Nel complesso però, posso dire che la situazione oggi è sotto controllo. La terapia che sto seguendo e una dieta più equilibrata mi aiutano, e non ho avuto complicazioni.
E tuttavia non è stato facile arrivare a una diagnosi. Anche perché la malattia si è presentata in piena pandemia, durante la campagna vaccinale, tanto che in un primo momento la febbre, i dolori addominali e le scariche di diarrea sempre più frequenti avevano fatto pensare a una reazione post- vaccino. Poi, visto che a distanza di giorni la situazione non accennava a migliorare, l'ipotesi fu che potesse trattarsi di Covid. Ma il tampone risultava sempre negativo. Era forse un’infezione, rotavirus o salmonella, oppure mononucleosi? In realtà tutti gli esami prescritti dal medico di base risultavano sempre negativi, e anche l’antibiotico che mi era stato prescritto per una settimana non aveva minimamente migliorato la mia condizione, anzi. Ci vollero tre passaggi al Pronto Soccorso e una trasfusione di sangue per anemia grave prima di venire indirizzata verso un gastroenterologo. Ma quella che doveva essere una visita si trasformò in un ricovero di due settimane. Mi fecero un sacco di esami: visita ginecologica, ecografia addominale, visita dermatologica e colonscopia. Alla fine la diagnosi è arrivata e con questa, e con la terapia, anche un po' di sollievo per aver scoperto finalmente il nome della mia malattia.
Quello che mi ha aiutato, sin dall’inizio, è stata la presenza di qualcuno che potesse ascoltarmi e capirmi davvero.
Anche oggi il supporto dei miei cari è fondamentale: nei momenti di sconforto la mia famiglia, il mio ragazzo e i miei amici mi aiutano a reagire. Ma anche dei perfetti sconosciuti possono dare una mano: persone che soffrono della stessa malattia, che si raccontano e aiutano a non sentirsi soli, come accade per esempio sui gruppi o le pagine dei social. Sentirsi capiti, ascoltati e non giudicati, soprattutto nei momenti più bui, può fare la differenza per chi ogni giorno convive con malattie croniche come la mia.