Sono un venticinquenne con alle spalle 19 anni di colite ulcerosa, un venticinquenne che crede nella gioia di vivere e che ad oggi ha la consapevolezza di potersi mangiare il mondo a morsi. Ma qui voglio raccontarti un po’ della mia storia, della mia forza e soprattutto del coraggio che ho messo nel vincere questa malattia.
Era il settembre del 2002, avevo 6 anni quando mi è stata diagnosticata una rettocolite ulcerosa. A dire il vero non ho ricordi vividi di quel momento, se non i tanti giorni di ricovero in ospedale, le tante scariche in bagno e tanta sofferenza. Ma grazie ai medici eccezionali, bravi e ricchi di umanità, e grazie alle terapie più gettonate a quei tempi riuscii a stare bene in pochi mesi. Certo, qualche momento di difficoltà non è mancato e a volte mi sono sentito anche privato di piccole cose a causa della mia malattia. Ma grazie anche a una madre premurosa che mi preparava pasti adatti alle mie esigenze ho goduto di dieci lunghi anni di benessere.
Ma non sarebbe durata. A 16 anni, come un vulcano spento per anni che all’improvviso erutta con tutta la violenza accumulata nel tempo, la colite ulcerosa tornò senza avvisare e si impossessò delle mie giornate, della mia vita. Era l’agosto 2011 quando ebbe inizio quella che io chiamo la “privatizzazione della libertà”. Non potevo andare in nessun posto senza la certezza di avere un bagno nei paraggi, date le continue scariche di sangue che la malattia decideva di inviarmi all’improvviso, anche per 10/15 volte al giorno. All’inizio ci provavo, ad uscire. Alla fine, però era più facile restare a casa, ero stanco e soprattutto non riuscivo a far capire ai miei coetanei cosa mi stesse accadendo.
Iniziò la scuola, e con essa gli innumerevoli ricoveri. Passavo due settimane in ospedale, poi tornavo a casa, stavo di nuovo male, e dopo nemmeno una settimana venivo ricoverato di nuovo, e così via fino ad aprile. Nonostante questo calvario, dato il mio costante impegno per lo studio non persi l’anno scolastico, anzi conclusi l’anno con un’ottima pagella. Durante i ricoveri studiavo, leggevo e in generale mi tenevo sempre impegnato, perché passare le giornate a deprimermi non faceva per me.
Durante uno di quei periodi in ospedale ci fu però un momento chiave, uno dei più importanti di tutta la mia esistenza. A causa delle continue scariche di sangue persi le forze ed ebbi una specie di svenimento, anche se continuavo a sentire le voci dei medici intorno a me. In quel momento pensai al peggio. Era per assurdo la sintesi di quel terribile periodo della mia vita: potevo ascoltare il mondo che mi circondava ma non avevo la voce per urlare la mia voglia di esistere. Poi arrivò una nuova terapia, e insieme a lei la speranza di tenere a bada quell’incubo. Sono certo che ognuno di noi ha una stella. E sapevo che la mia stella lassù mi avrebbe protetto, e così fu. Uscii da quell’ospedale e mi andai a prendere ciò che mi spettava: la mia vita. Non più la vita guidata dalla malattia, ma la vita che decidevo io.
Nonostante la sofferenza che aveva generato, la malattia mi ha regalato qualcosa di positivo, la sensibilità e la maturità. La prima mi ha portato ad avere rispetto delle persone in difficoltà, la seconda mi ha permesso di fare le scelte giuste. Una di queste è stata la scelta del mio percorso di laurea. Volevo aiutare i bambini che soffrono come ho sofferto io e allo stesso tempo sfruttare la mia inclinazione per la matematica e la fisica. Così ho deciso di studiare ingegneria biomedica. Un percorso complesso, ma la nobile causa che mi guidava mi ha permesso di superare ogni difficoltà, di sfidare me stesso e spero presto di trovare un lavoro che possa farmi esprimere tutta la mia motivazione per dare un contributo concreto a quei bambini che attraversano la mia stessa sofferenza.
Poi è arrivata la seconda decisione, che davvero posso definire la mia vittoria, il trionfo della vita sulla malattia. Dopo aver lavorato molto su me stesso, iniziai a ragionare sull’importanza di dare un
contributo al mondo. Così nel settembre 2019, a 17 anni dalla prima volta, sono rientrato nel reparto dove sono stato curato e protetto, dove mi è stata data l’opportunità di esserci. Qui è iniziata la mia esperienza di volontario. Immaginavo che sarebbe stata un’esperienza positiva, ma non avevo idea che sarebbe stata così forte. Durante quegli incontri (uno a settimana) mi sentivo in paradiso, fare attività ricreative con quei bambini e dedicare loro il mio tempo mi ha ripagato di tutta la sofferenza subita, mi ha reso “invincibile” nei confronti del quotidiano.
Il mio impatto sul mondo sarà anche piccolo e limitato a poche persone, ma quando non ci sarò più – per colpa della malattia o di chissà cos’altro - potrò morire da vincitore, perché io nella vita ci ho creduto sempre. E a te che stai leggendo queste parole, e che forse ti senti sconfitto dalla malattia, dico di individuare nella tua vita quella luce in cui credere, perché da lì ricomincia la tua libertà. La malattia non può impedirci di prendere tutto ciò che vogliamo.
Io pensavo che non avrei mai potuto proseguire gli studi con tranquillità, e invece non solo li ho completati in tempo, ma con il massimo dei voti e oggi da dottorando sto per pubblicare un paper su dei sistemi per interventi mininvasivi al colon. Ho una vita sociale intensa con tanti amici, parlo liberamente della mia patologia per trasmettere positività ed energia, e adesso sono qui a scrivere parte della mia storia con una determinazione e una serenità incredibile perché io, noi siamo la testimonianza che non ci sono limiti per inseguire la felicità, il benessere con se stessi e con gli altri, la voglia di mangiarsi il mondo. Un grande in bocca al lupo a te che stai leggendo queste mie parole.