Ero da poco diventata mamma, e quelli che avrebbero dovuto essere momenti di gioia - anche se non sempre facili, diciamolo - sono stati momenti decisamente difficili. Terribili direi. Mio figlio aveva solo due settimane quando si è presentata la mia malattia, e nessuno sul momento capì di avere a che fare con una malattia infiammatoria cronica intestinale. Anzi: i medici erano così fuori strada che venni ricoverata nel reparto di malattie infettive, pensando che si trattasse di tifo o di salmonella. Non so se ad aver portato fuori strada i dottori sia stato il fatto che avessi soli 27 anni, o forse la mancanza di esperienza del personale: l'ospedale era piccolo, e in seguito avrei scoperto che era anche poco specializzato per queste malattie. Fatto sta che, persino dopo aver chiarito che non avevo una malattia infettiva, e malgrado aver ricevuto la diagnosi di MICI, per parecchio tempo non sono stata sottoposta a nessuna terapia, tanto che ho continuato a stare male per due lunghi mesi.
Poi è arrivata la seconda gravidanza. E per un lunghissimo periodo, non so come mai, sono riuscita a vivere quasi come una persona sana: prima nove mesi perfetti, senza alcun problema, e poi per dieci anni la malattia sembrava scomparsa. Dieci anni di benedetta remissione.
Ma mi illudevo. Nel 2007 la malattia è tornata, e con gli interessi. Stavolta però sapevo che cosa fosse e non ho perso tempo: ho contattato un gastroenterologo e ho cominciato la cura, con diversi farmaci. Sono andata avanti così, tra alti e bassi, per un altro lunghissimo periodo. Fino a quando la pandemia non ha stravolto tutto: il virus ha cambiato la vita di ognuno, è vero, ma per noi malati cronici è stato ancora peggio. La paura del contagio, la necessità di non affollare gli ospedali, per noi ha significato soprattutto una cosa: niente visite di controllo. Siamo andati avanti così in piena emergenza, fino a quando non ho cominciato a peggiorare - dolori, sangue - e ad aver bisogno di rincarare la dose di terapie, con ferro endovena e vitamina D.
Mentre cercavo di sopravvivere meglio che potevo, mia figlia mi ha parlato di un reparto specializzato per i pazienti con malattie croniche intestinali. È stata la mia salvezza, la mia rinascita: grazie alla professionalità dei medici e alla loro competenza, alla loro umanità e grazie anche ai farmaci – ho iniziato una terapia biologica – finalmente ho cominciato a stare meglio. E anche la mia vita, oltre la malattia, ha preso il verso giusto: mi sono impegnata, sono riuscita a laureami alla soglia dei cinquant'anni e oggi insegno, dimostrando a me e a tutti che se vuoi puoi arrivare ovunque. È vero, c'è stato chi non ha capito, chi ha sottovalutato il mio dolore, anche per ignoranza, ma c'è stato anche chi mi ha aiutato.