Ho 23 anni e convivo con la mia malattia da quando ne avevo 17. Come per molti, la diagnosi per me è stata un sollievo, accompagnata dalla speranza che magari si riuscisse a mettere fine a tutto quello strazio. Perché così, strazianti, sono stati i mesi che hanno preceduto la sentenza. Avevo tutti i sintomi possibili: dolori addominali, corse continue al bagno, sanguinamenti, dolori alle articolazioni, crampi intestinali che mi impedivano di dormire la notte, e una stanchezza che mi rendeva difficile anche solo alzarmi dal letto. Qualche segnale era cominciato già tempo addietro: ricordo che dopo una polmonite alle elementari sono cominciati ad arrivare anche i mal di pancia, ma gli esami che mi fecero allora non segnalarono nulla di strano.
Sarebbe scoppiato tutto qualche tempo dopo, e ci sarebbe voluto un ricovero in ospedale lungo 17 giorni, una lista infinita di esami e una colonscopia per trovare il bandolo della matassa. E ben presto mi sono resa conto che la speranza di stare meglio dopo la diagnosi era un’illusione. Purtroppo non sempre il rapporto con i medici è stato positivo, anzi, spesso mi sono sentita incompresa. Ricordo il caso di quel dottore così poco comprensivo e professionale, che sbuffava alla vista dei pazienti in sala d'attesa. Secondo lui andava sempre tutto bene, anche quando gli esami dicevano il contrario. La visita finiva spesso con la prescrizione di qualche pillolina, e arrivederci. Arrivò a mettere in dubbio persino che stessi male, fino a ricredersi, ma a quel punto ero io ad aver capito che non volevo essere più trattata così. Meritavo di più, tutti i malati meritano di più, e mi sono messa a cercare: volevo il miglior medico possibile. E alla fine l’ho trovato.
Insomma, non mi sono arresa. E questo è il mio consiglio a chi si trova nella mia stessa situazione: parlate con le persone che vi sono vicine, amici e famigliari, non vergognatevi, non temete il giudizio di nessuno, piangete se ne avete bisogno ma poi rialzatevi. Ho passato momenti in cui fare sport, uscire con gli amici, ma anche solo fare la spesa era un'impresa, avevo bisogno dell’aiuto di mia madre per farcela. Altre volte quello che mangiavo mi spediva trenta volte in bagno.
Ho sofferto di attacchi di panico, ansia, mi sono sentita giù, molto giù, ma non mi sono arresa. Oggi navigo ancora tra alti e bassi, i momenti di sconforto ci sono, ma cerco di guardare oltre, di non chiudermi in me stessa, cerco di fare quello che amo, e il supporto dello psicologo mi aiuta moltissimo. Ma la cosa più importante che ho imparato è questa: a non sprecare il tempo quando sto meglio.