Convivo da anni con la colite ulcerosa. Facevo il primo anno di università quando mi sono accorto che qualcosa non andava: sangue nelle feci. Non avevo idea di cosa si potesse trattare, so solo che ero spaventato e non sapevo bene cosa fare. Poi è arrivata la diagnosi, d’altra parte i miei sintomi e i risultati di una dolorosa colonscopia parlavano chiaro: avevo la colite ulcerosa.
oggi non riesco a essere ottimista. Attraverso molti momenti di sconforto, e purtroppo riesco a condividere questo malessere solo con poche persone, con due infermiere del reparto, che stimo tantissimo, e con il mio gastroenterologo. Mi sembra che persino gli amici più cari non possano capire la fatica e il dolore di quello che sto vivendo. Sono certo che non capirebbero. E d’altra parte come potrebbero? Come si può capire cosa significa rinunciare al ristorante, al cinema, al teatro, alla discoteca, o anche solo evitare di andare in qualche posto nuovo per paura di star male, di non avere un bagno pulito a poca distanza?
Così ancora oggi, a distanza di tempo dalla diagnosi, tengo tutto per me. E ne sento tutto il peso, perché questo mi fa chiudere su me stesso, mi fa evitare i contatti, le occasioni sociali, tutto quello che non rientra nel mio piccolo mondo, nella mia zona di conforto, che mi costringe a uscire dai miei confini sicuri. Per fortuna nel mio percorso di malattia ho incontrato uno psicologo che mi ha aiutato tantissimo. È stato un percorso fondamentale, tanto che sono intenzionato a ripetere questa esperienza.
E infatti, se posso dare un consiglio a chi sta vivendo una condizione come la mia, è questo: cercate un supporto psicologico, vi aiuterà moltissimo. E poi non fermatevi al primo specialista che incontrate, ma siate esigenti, cercando qualcuno che faccia ricerca avanzata nel settore e che vi sappia ascoltare, facendovi le domande giuste sulla vostra vita prima della malattia, per individuare le radici del vostro male. Chi come noi combatte con una MICI non ha bisogno soltanto di medicine, ma anche di persone che prendano in carico la nostra difficoltà e sappiano gestirla con tutti gli strumenti che hanno a disposizione.
Mi è stato di grande aiuto infatti raccontare a qualcuno che non mi conosce cosa non va, cosa significhi convivere tutti i giorni con questa malattia che ti stravolge la vita. L'ho fatto per un po' di tempo, e penso che ci tornerò a breve: sono sicuro che un supporto psicologico sia essenziale almeno quanto le medicine, anzi forse dovrebbe arrivare anche prima di qualsiasi trattamento. Penso continuamente alla malattia, e sono anche certo che tutto questo si ripercuota negativamente anche nel mio intestino! Parlarne con qualcuno mi dà una mano, così come cercare sollievo, nei momenti di sconforto, nel ripensare ai piccoli momenti piacevoli che ho vissuto: li rivivo nella mia mente e questo mi aiuta a stare meglio. Spero che qualcosa di buono per me e la mia malattia in futuro possa venire anche dalla ricerca.