Avere 22 anni e sapere di avere una malattia cronica: per alcuni sarà stato un dramma, per me è stato un passaggio fra un periodo di incoscienza e uno di consapevolezza. Certo, detta così sembra che sia stato semplice, in realtà è avvenuto tutto per gradi e anche la presa di coscienza non è stata indolore. Perché tutto cambia con una malattia infiammatoria cronica intestinale: sarebbe da sciocchi dire che si riesce ad avere una vita normale, ma lo è anche credere che siamo tutti uguali.
Tutto è successo ormai più di venti anni fa. Avevo spesso scariche con sangue e davo la colpa a un'infiammazione, non mi rendevo conto di quello che mi stava succedendo. Ma i medici furono più saggi di me, e mi prescrissero degli approfondimenti. In seguito uno specialista dell'epoca mi riferì che soffrivo di rettocolite ulcerosa e mi prescisse dei farmaci, senza aggiungere altro. Poche parole, pesanti come pietre, e senza alcuna spiegazione. Tanto che io sul momento mi rifiutai di dargli retta: non riuscivo a capire perché, poco più che ventenne, dovessi prendere queste medicine. D'altronde anche quel medico mi era stato poco d'aiuto in questo. Così per un po’ provai a ignorare la diagnosi che avevo ricevuto: facevo come se niente fosse, evitavo solo frutta e verdura e mi concedevo diversi peccati di gola. Ma continuavo a perdere peso, finché non arrivai a 48 kg ed ebbi bisogno di una trasfusione. Fu così che incontrai un vero luminare: mi prese per mano, spiegandomi tutto su quella che era e sarebbe stata per il resto della mia vita la mia “compagna di viaggio”. È stato solo in quel momento che ho preso davvero consapevolezza, e da lì la mia vita è cambiata.
A causa della malattia ho detto tanti no, sia a occasioni di svago come le cene con gli amici, perché sapevo che poi le avrei pagate care, sia a posti di lavoro non adatti a quelle che erano le mie nuove necessità. E mi sono dovuta adattare: prima ai farmaci e ai loro effetti indesiderati, poi alle altrettanto fastidiose reazioni delle persone, alla loro pietà malcelata di cui noi pazienti non abbiamo bisogno, ai loro tentativi di minimizzare, non conoscendo affatto cosa significa vivere con una malattia cronica intestinale. Negli anni mi sono sentita dire: "Ma è solo un po' di colite!”, o “va bene, ma poi guarisci, no?”. Non tutti purtroppo riescono a comprendere come questa malattia possa cambiare la tua vita, al punto che il bagno diventa la tua stanza preferita della casa (e quella da cui sto scrivendo queste righe!).
Oggi, a distanza di 23 anni, la mia malattia è sempre qui, fra alti e bassi, tra nuove medicine e probiotici, tra un caffè e un riso in bianco. Prenderne consapevolezza, però, non ha mai significato che fosse lei a decidere per me: ho avuto due gravidanze, lavoro e continuo a viaggiare. Mi stanco, sia chiaro, ed è proprio la stanchezza a ricordarmi che non sono sola, e che la mia “compagna di viaggio” sta chiedendo più attenzioni. Così mi fermo e mi dedico a me stessa, senza piangere. A volte infatti penso che tutto quello di cui abbiamo bisogno sia un po' di tempo in più, insieme magari a qualche farmaco e a qualche persona positiva intorno a noi. Siamo dei combattenti noi pazienti, è vero, ma insieme è sempre meglio che da soli.