Talvolta i pazienti affetti da malattia di Crohn, una delle malattie infiammatorie croniche intestinali (MICI), possono trovare sui referti delle loro visite gastroenterologiche o delle colonscopie la dicitura "ileite terminale". Si tratta di un sinonimo? Non esattamente. Come ben noto, la malattia di Crohn è una patologia autoinfiammatoria prodotta dall'aggressione da parte del sistema immunitario di alcune sezioni del tubo digerente. Tendenzialmente questa patologia può colpire qualsiasi tratto compreso tra la bocca e l'ano, producendo infiammazione e conseguentemente un danno alla mucosa con possibili complicanze anche molto importanti. Nella stragrande maggioranza dei casi, tuttavia, la malattia di Crohn colpisce l'ultima parte dell'intestino tenue (detto ileo) e il colon. In assoluto la sezione di intestino più coinvolta è l'ultimo tratto dell'ileo, detto ileo terminale, nel punto in cui questo si congiunge alla prima parte del colon, ovvero il cieco. Per ileite terminale, dunque, si intende l'infiammazione localizzata in questa porzione e dunque la manifestazione più tipica e frequente della malattia di Crohn.
Ma cosa accade quando un paziente è affetto da ileite terminale? L'attacco infiammatorio prodotto dal sistema immunitario nei pazienti con malattia di Crohn produce, in questo tratto di intestino, un danno che causa:
- una riduzione dell'assorbimento dei nutrienti (in particolare di alcune vitamine, come la B12);
- l'ispessimento della parete intestinale con rischio di stenosi (cioè restringimenti) e ulcere;
- un danno alla valvola ileocecale, posta tra ileo e cieco.
L'ileite terminale nella malattia di Crohn viene normalmente trattata con terapie tendenzialmente analoghe a quelle impiegate quando la patologia colpisce altre sezioni dell'intestino: accanto a quelle di tipo farmacologico, però, in alcuni casi può essere necessario anche un intervento chirurgico.
La complicanza più tipica dell'ileite terminale è infatti la stenosi ileale: quando è fortemente infiammato, questo tratto di intestino va incontro a un danno che può condurre all'occlusione intestinale. Per prevenire questo evento, che richiede un'operazione chirurgica d'urgenza, in presenza di una stenosi particolarmente a rischio al paziente può essere proposta l'asportazione chirurgica di questo tratto di intestino coinvolto dalla malattia. In questi casi si esegue la cosiddetta resezione ileocecale, ovvero la rimozione di un tratto più o meno lungo di intestino che comprende appunto l'ultima ansa ileale e la prima parte del cieco. Rimuovendo questo segmento, vengono inevitabilmente anche rimossi la valvola ileocecale e l'appendice, che si trovano proprio a questa altezza.
L'intervento di resezione ileocecale nei pazienti con ileite terminale non presenta particolari rischi. In molti casi oggi è eseguito in videolaparoscopia single port: viene cioè eseguita un'unica incisione a livello dell'ombelico e da lì sono inseriti nell'addome del paziente tutti gli strumenti chirurgici necessari oltre a una telecamere. In questo modo il chirurgo può separare e asportare il tratto malato, per poi riconnettere i due monconi di intestino formando la cosiddetta anastomosi. La ripresa dopo l'intervento è generalmente molto rapida.