Da tempo si parla di un'innovativa opzione terapeutica per alcuni pazienti affetti rettocolite ulcerosa: si tratta del trapianto di microbiota fecale, detto anche trapianto di feci o batterioterapia fecale. Si tratta di una procedura mediante la quale le feci di un donatore vengono trattate opportunamente e poi infuse nel tubo digerente del soggetto. L'obiettivo di questo trattamento è quello di ricolonizzare l'intestino con una flora batterica sana. Tipicamente la procedura è utilizzata nelle coliti recidivanti da Clostridium difficile, un patogeno spesso resistente alle normali terapie. Il trapianto di microbiota rappresenta ormai una terapia medica - per molti aspetti analoga a un trapianto d'organo - diffusamente impiegata per riequilibrare la flora batterica in questa tipologia di pazienti. Tuttavia la forte correlazione tra l'alterazione nella varietà dei batteri presenti nel colon e gli stati infiammatori intestinali ha portato a ritenerne utile l'impiego anche nelle malattie infiammatorie croniche intestinali (MICI) e, nello specifico, nella rettocolite ulcerosa.
Ad esempio, un recente studio cinese condotto su 47 pazienti con rettocolite ulcerosa attiva di grado lieve e moderato ha ulteriormente ribadito l'efficacia di questa metodologia: dai dati emerge infatti la capacità del trapianto di feci di indurre una remissione di malattia. Dati simili del resto sono stati raggiunti tempo fa da un altro studio, questa volta australiano, condotto su 73 pazienti affetti dalla stessa patologia, sempre in fase attiva e di grado lieve-moderato. La percentuale di pazienti che dopo 8 settimane era entrata in remissione, liberandosi dall'impiego di farmaci antinfiammatori steroidei, era pari al 32 per cento. Di questi, il 42 per cento era ancora in remissione a 12 mesi dal trapianto fecale.
Ma in che modo questa procedura è efficace sulla rettocolite ulcerosa? Si suppone che in alcuni casi questa patologia potrebbe essere scatenata da un'infezione intestinale pregressa che, anche una volta guarita spontaneamente, porta a uno squilibrio cronico del microbiota dando luogo alle sue tipiche riacutizzazioni infiammatorie. Il trapianto di feci, quindi, funzionerebbe su questi pazienti come un "reset" della colonizzazione batterica del colon.
Quanto alla procedura, esistono diverse modalità. Si parte in ogni caso dalla raccolta delle feci, generalmente quelle di un parente di primo grado benché esista la possibilità di trapianto autologo, impiegando cioè le feci del paziente stesso. Ovviamente il donatore deve essere sottoposto preliminarmente a test per escludere che sia affetto da infezioni virali o batteriche o che le sue feci contengano batteri come la salmonella. Il campione viene quindi preparato in laboratorio e trasformato in un liquido, ricchissimo di batteri e miceti, successivamente fatto giungere nel duodeno per mezzo di un sondino nasogastrico. In alcuni casi la preparazione ottenuta dalle feci del donatore può essere inserita direttamente nel tratto intestinale inferiore per mezzo di clisteri.