In questo secondo episodio scopriremo quali sono le opzioni terapeutiche per i pazienti con Ipertensione Arteriosa Polmonare.
Dott.ssa Lucrezia De Michele
Cardiologo, dirigente medico I liv presso cardiologia del Policlinico Universitario di Bari
Prof.ssa Giovanna Elisiana Carpagnano
Direttore U.O.C. malattie dell'Apparato Respiratorio presso Policlinico Universitario Bari
Giovanna Campioni
Coordinatrice nazionale AICCA (Associazione Italiana Cardiopatie Congenite Bambini e Adulti)
Prof. Florenzo Iannone
Professore Ordinario di Reumatologia presso Università degli Studi di Bari
“Parliamo di una patologia progressiva.” Questo è il primo commento della Professoressa Giovanna Elisiana Carpagnano. “La malattia progredisce rapidamente. In genere, è importante seguire un follow-up stretto di 3 o 6 mesi, a seconda del paziente.”
La frequenza dei follow-up, come invece ci ricorda la Dottoressa Lucrezia De Michele, può però variare in base alla tipologia di malattia associata all’ipertensione polmonare.
“I pazienti portatori di mutazioni responsabili dell’ipertensione polmonare, ma che ancora non hanno manifestato la malattia, devono essere monitorati annualmente.” Uno scenario diverso riguarda l’ipertensione polmonare associata a malattie croniche. “La patologia sclerodermica ha un indice di progressione molto veloce. Richiede che i pazienti seguano un follow-up non solo cardiologico, ma anche reumatologico e pneumologico.” A questo proposito, è fondamentale non solo monitorare i pazienti, ma fare in modo che i pazienti rispettino la frequenza degli incontri durante il periodo di follow-up.
A questo punto, il van bianco e azzurro si sposta sul lungomare di Bari, dove Paolo Ruffini e le due dottoresse incontrano Giovanna Campioni, Responsabile Nazionale dell’associazione AICA (Associazione Italiana Cardiopatie Congenite Bambini e Adulti).
Prof.ssa Giovanna Elisiana Carpagnano
Interviene subito la Professoressa Giovanna Elisiana Carpagnano. “È veramente importante che un paziente stabile, con una terapia ottimizzata, possa intraprendere un percorso di riabilitazione respiratoria.” Si tratta di un percorso in grado di migliorare non solo la tolleranza all’esercizio fisico, che è un indice prognostico, ma anche l’umore, e quindi la qualità di vita del paziente.
È però necessario tener presente che la riabilitazione non è semplice: richiede settimane, con un periodo di degenza ospedaliera, un programma di allenamento fisico, un percorso educazionale e di counselling, che il paziente deve seguire con impegno e dedizione.
“È molto importante la fiducia che c’è fra paziente e medico.” Questo è il commento di Giovanna Campioni: per le associazioni, è importante che i medici aiutino a migliorare la vita dei pazienti e diano loro suggerimenti per alleggerire il percorso di cura.
Interviene poi la Dottoressa Lucrezia De Michele. “Vorrei porre l’attenzione anche sul supporto psicologico.” È fondamentale, ad esempio, individuare precocemente fenomeni di tipo depressivo. “Correggerli con specialisti sensibilizzati al problema, abbiamo visto che incide significativamente sulla qualità della vita di questi pazienti.”
Pertanto, il percorso che i pazienti intraprendono non è solo di natura clinica, ma coinvolge anche la loro sfera umana, dentro e fuori dei reparti.
“Il primo sintomo che il paziente avverte è l’affanno, la dispnea.” Ce lo ricorda la Professoressa Giovanna Elisiana Carpagnano.
“Si accorge che la malattia evolve, proprio perché la dispnea, dal presentarsi per sforzi importanti, pian piano si presenta anche durante le attività quotidiane, fino a una situazione di affanno anche a riposo.” Le ultime linee guida sottolineano infatti l’importanza del monitoraggio di questo sintomo nel corso della progressione della patologia.
Il van si sposta nuovamente, raggiungendo il luogo dove, immerso in un giardino verde e luminoso, il gruppo incontra Florenzo Iannone, Professore Ordinario di Reumatologia presso l’Università degli Studi di Bari.
Ci vogliono molteplici specialisti per identificare e curare la PAH, e occorre il coinvolgimento e l’integrazione di più specialità mediche, perché diverse sono le malattie che sottostanno alla PAH. “L’approccio disciplinare deve essere necessariamente multiplo”. Questo il commento risoluto del Professor Florenzo Iannone.
L’obiettivo ambizioso è stato di realizzare un network che mettesse in comunicazione centri specializzati, medici di base e territorio, non solo a livello nazionale, ma anche a livello internazionale.
Prof. Florenzo Iannone
“La possibilità di aver costruito questo network” prosegue la Dottoressa De Michele “ci ha consentito di gestire molto meglio i pazienti con dei percorsi standardizzati.”
Bisogna ricordare, ancora una volta, il valore di un approccio multidisciplinare e multicentrico alla PAH.
“Questo ci consente di curare il paziente nel suo territorio, così come lo si fa in tutto il mondo, con le migliori terapie possibili, per garantire una migliore prognosi al paziente.”
Per Giovanna Campioni, la risposta è semplice: tenere un diario “è un prendersi cura di se stessi.” Portare questo diario ai follow-up consente di costruire un percorso personalizzato assieme al medico. E il medico può valutare il paziente a 360°.
Il diario può davvero migliorare la vita del paziente.
Giovanna Campioni - Coordinatrice nazionale AICCA
Dott.ssa Lucrezia De Michele
“È un punto di riferimento, soprattutto se ci sono dei cambiamenti o dei peggioramenti della patologia.” Questa la posizione di Giovanna Campioni e dell’associazione pazienti.
La Dottoressa De Michele condivide invece il punto di vista del medico. “Lo ritengo un compagno consapevole della malattia”.
Il caregiver non è solo “chi assiste il malato nel concreto della quotidianità”.
Deve essere consapevole del percorso del paziente: un alleato con doti di mediazione, che aiuti il paziente nell’aderenza alla terapia. In sintesi, un motivatore.
Secondo le linee guida, è bene valutare/sottoporre il paziente a:
Tutti questi elementi consentono di capire la categoria di rischio del paziente e, quindi, di decidere la terapia più appropriata.
Il Professor Iannone, tuttavia, sottolinea che, come spesso accade in medicina, le linee guida non sono sempre applicabili a tutte le tipologie di pazienti. “Un algoritmo è una guida, ma non è una raccomandazione.”
La via ottimale da seguire resta sempre quella di un approccio personalizzato.
In sintesi, questo viaggio ci ricorda che il follow-up ha un ruolo cruciale per i pazienti con PAH, i quali devono essere sottoposti alla terapia più idonea e più aggressiva possibile, al fine di raggiungere quei risultati sulla sopravvivenza che erano insperati fino a qualche anno fa.
Un ultimo invito a tutti i pazienti con PAH: dare consenso a registrare i propri dati in maniera anonima nei registri nazionali, così da condividere informazioni utili per la gestione di tutti i pazienti con questa patologia. L’esperienza clinica del singolo paziente con PAH può costituire una risorsa fondamentale per la cura e la gestione di un’intera comunità di pazienti.
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